La realtà è una nostra costruzione mentale.
Questa costatazione per quanto dolorosa da accettare contiene la chiave della nostra libertà. Sin dalla nostra nascita, i nostri sensi fisici traducono la nostra relazione con l’ambiente in termini di dolore o di piacere. Poi l’educazione ricevuta dai genitori, dalla scuola, dalla religione, il contesto politico e i comportamenti della società in cui cresciamo, nel corso degli anni modellano una nostra percezione della realtà che, se viene condivisa con un grande numero di persone, ci convince che sia vera e forse l’unica.
Le nostre esperienze personali, piacevoli o spiacevoli, pur sempre soggettive, aggiungono un altro filtro a ciò che crediamo essere la realtà in cui ci muoviamo. Già gli Induisti e i Buddisti avevano colto questa propensione della mente umana a generare quello che chiamarono “Maya”, l’illusione. Una volta che questa illusione viene sostenuta da moltissime persone, essa riveste forme concrete e diventa un eggregora, ovvero un pensiero collettivo.
Per questo motivo, è difficile accettare che ciò che viviamo sia generato da noi stessi, tanto come individui quanto come collettività.
Questo processo è diventato palese durante la pandemia in cui si sono accettati dei condizionamenti assurdi pur di essere considerati “buoni cittadini” e di fare parte del branco. Alcune persone invece si sono fermate a pensare e a mettere in discussione i modelli imposti.
Fermarsi è un’azione fondamentale per non farsi trascinare dalla corrente delle illusioni. Quando ci fermiamo, diventiamo osservatori imperturbabili di noi stessi, al centro del nostro essere. Quando siamo connessi al nostro centro, diventiamo responsabili di ciò che pensiamo e percepiamo. Coscienti di ciò possiamo creare una nuova realtà con pensieri sani e credenze potenzianti.
La percezione “Io non mi amo e non merito l’amore” può diventare “onoro la mia divinità e sono amore”. Il mondo cambierebbe drasticamente se fossimo in tanti a percepire la nostra magnificenza.